Il
progetto in questione conferma il divieto di
esercitare attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi in mare nelle aree marine e costiere
protette
così come nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di
costa
lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno
delle
suddette aree marine e costiere protette. “Al di fuori delle medesime
aree”, le predette attività resterebbero, invece, autorizzate
previa valutazione di impatto ambientale e sentito il parere degli enti
locali
posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere
interessate
dalle suddette attività (art. 1, comma 2).
La perplessità principale che il progetto
suscita riguarda il comma 2 dell'art. 1, ove si dichiara che "sono privi
di efficacia tutti gli atti adottati in attuazione delle disposizioni di cui
all’articolo 35, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 nel periodo compreso tra
la data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 e
quella di entrata in vigore della presente proposta di legge".
Questa previsione appare illegittima, in quanto,
qualora nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del decreto Prestigiacomo
e l’entrata in vigore della legge proposta fossero stati adottati provvedimenti
autorizzatori, le società petrolifere, pienamente tutelate nel loro legittimo
affidamento, potrebbero citare in giudizio lo Stato per il risarcimento dei
danni arrecati.
Per questa ragione si ritiene opportuno
eliminare dal progetto di legge il secondo comma e proporre, proprio al fine di
scongiurare che a seguito del riavvio dei procedimenti si giunga al rilascio di
un titolo abilitativo, l’adozione di un decreto-legge da parte del (prossimo)
Governo. Il decreto, sostenuto da evidenti ragioni di necessità ed urgenza e
ferma comunque l’efficacia dei titoli già rilasciati, potrebbe legittimamente
intervenire sui procedimenti in corso. Contestualmente occorrerebbe procedere
all’istituzione di un tavolo nazionale e avviare un confronto con tutti i
soggetti interessati, al fine di discutere sull’opportunità di giungere
all’approvazione di una nuova organica e sistematica disciplina degli
idrocarburi.
Il Coordinamento nazionale No Triv ritiene
opportuno che la futura disciplina degli idrocarburi si colleghi ad un “piano
nazionale di programmazione”, sulla base di quel che ammette la direttiva
94/22/CE. Questa, infatti, consente allo Stato di decidere quali parti del
proprio territorio aprire o chiudere alla ricerca e alla coltivazione degli
idrocarburi e di limitare dette attività per ragioni di tutela ambientale, di
tutela della salute, ecc. (anche in considerazione della peculiare geomorfologia
del territorio italiano).
D’altra parte, in conformità all’art. 41 della
Costituzione, l’iniziativa economica privata è certamente libera, ma non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale oppure in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Una diversa prescrizione,
invece, risulta dettata per la tutela costituzionale dell’ambiente e della
salute, non condizionate ad alcun limite e perciò ritenute assolute.
Più in generale – sul piano delle riforme
istituzionali – sarebbe indispensabile tenere vivo e aperto il dibattito
intorno alla palesata volontà di riscrittura del Titolo V della Costituzione.
Da questo punto di vista, il disegno di legge
di revisione della Costituzione presentato lo scorso anno dal Governo Monti –
sebbene decaduto con la fine della Legislatura – non può dirsi condivisibile.
Esso, infatti, avrebbe voluto cancellare dalla legislazione concorrente
Stato/Regioni la materia dell'energia e riportarla nelle mani dello Stato.
Tornare al centralismo di Stato sarebbe, però, antistorico ed oltremodo
pericoloso. Occorrerebbe, invece, invertire il senso di marcia. Avere più
coraggio. Ritrovare la strada del “federalismo”.
Occorrerebbe superare, intanto, il
“bicameralismo perfetto” e trasformare il Senato della Repubblica in una Camera
delle Regioni, composta di delegati regionali e non di eletti. Ciò non solo
avrebbe immediati riflessi sulla questione dei costi della politica, atteso che
i delegati sarebbero già retribuiti dalle Regioni, ma darebbe vita a una più
proficua collaborazione tra il livello statale e quello regionale a partire
dalla sede legislativa. In questo modo, si avrebbe anche una riduzione del
contenzioso costituzionale, atteso che le Regioni, contribuendo alla
elaborazione della legislazione dello Stato, sarebbero partecipi delle scelte
politiche assunte.
Entro questa prospettiva la materia energia e
quella della tutela dell’ambiente troverebbero una differente collocazione. Nel
primo caso, essendo la materia strettamente collegata alla politica economica
nazionale, l’energia potrebbe essere disciplinata in via esclusiva dallo Stato
(con la collaborazione della Camera delle Regioni).
Per quanto concerne, invece, la tutela dell’ambiente,
questa potrebbe essere disciplinata in modo inedito, sulla scorta del modello
adottato in Germania nel 2006 (potestà legislativa derogatoria).
La legge sulla tutela dell’ambiente sarebbe
adottata dal Parlamento, sempre con la collaborazione della Camera delle
Regioni. Le Regioni, tuttavia, entro un certo termine stabilito dal Parlamento,
potrebbero parzialmente derogare alla disciplina nazionale, ma solo a
condizione che accordino all’ambiente una tutela maggiore. Ciò, peraltro,
sarebbe anche conforme all'orientamento ormai abbracciato dalla Corte
costituzionale italiana.
Il Coordinamento No Triv auspica
che chiunque sia interessato fornisca il proprio parere al riguardo, affinché
si avvii un proficuo confronto sul tema, in modo da neutralizzare gli effetti più
minacciosi insiti nella Strategia energetica nazionale, restituire piena
sovranità democratica alle collettività territoriali finora estromesse da ogni
decisione politica e preparare il terreno per un progressivo e definitivo
passaggio alle energie rinnovabili.
Coordinamento Nazionale No Triv
0 commenti:
Posta un commento